Titolo della biennale di Venezia 2022 è “Il latte dei sogni”questo titolo un pò evocativo e un pò ermetico rimanda a due contenuti principali: al femminile e alla trasformazione. Ma si spinge oltre rimandando al femminile come agente di trasformazione, come catalizzatore di trasformazione, come vocazione alla trasformazione.
“Nella prima metà del XX secolo, il concetto illuministico dell’io come corpo isolato e unitario viene superato dall’emergere di tecnologie che sfumano la distinzione fra umano e macchina, dai modelli psicoanalitici che svelano l’influenza dell’inconscio e dall’ideali femminista della New Frau, la “Donna Nuova”, indipendente e autonoma.Questo cambiamento compromette antichi e pervasivi dualismi, come quello fra essere umano e natura, tra animato e inanimato, tra corpo e mente, tra femminile e maschile, in favore di un ibridismo e di una relazionalità fluttuanti.”
Queste poche righe stralciate dal pannello di apertura della mostra ci immettono immediatamente nel tema che, partendo della prima metà del XX secolo trova una sua bella rappresentazione nelle artiste che rappresentano sé stesse come esseri femminili, donne, in connessione e in metamerfosi con il mondo vegetale, animale e siderale restituendo allo spettatore immagini a volte inquietanti ma a mio avviso sostanzialmente poetiche. Anche dove l’artista, uomo o donna che sia, rappresenta la sua ibridazione con la macchina l’esito è a mio avviso poetico e sperimentale di nuovi codici estetici comunque armoniosi.
Diversa invece si manifesta la trasformazione/ibridazione nella nostra contemporaneità. La macchina provocava infatti grandi entusiasmi e aspettative per il futuro, il Futurismo ne è l’emblema, adesso invece di fronte all’evoluzione tecnico/scientifica che parla di transumano l’entusiasmo lasca posto ad una inquietudine profonda. La possibilità di trasformazione del nostro genoma, la fecondazione possibile senza uomo e senza donna, clonazione di pecore, nanotecnologie, ecc…..sono elementi di fronte ai quali troviamo un essere umano smarrito e violato che esprime il terrore che la sua trasformazione/ibridazione avvenga non si sa bene ad opera di chi e non si sa verso cosa..!! L’incubo del mostro che si ribella al suo ideatore e prende vita propria è quanto mai presente.
E’ tanta l’arte che a mio parere esprime questa angoscia profonda del nostro tempo, soprattutto per quanto riguarda il mondo occidentale. Parallelamente vi sono anche elementi che rincuorano e rassicurano, che ci arrivano da culture meno “compromesse” e più legate ad un vissuto di essere umano ancora umano e dalle quali emerge ancora una volta il potere del femminile come depositario e custode ancestrale di vita, della sua generazione e conservazione, una per tutte Simone Leigh.
Concludo la visita della Biennale al padiglione dell’Azerbaigian situato in Piazza San Marco dove ammiro l’installazione ad opera di sette artiste azerbaigiane dal titolo “Born to love” che mi fa dono di fugare tutte le inquietudini avvolgendomi nell’armonia sacra di “Infinity”.
Tiziana MassaArteterapeuta
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